Bentornato. Accedi all'area riservata







Non ti ricordi i dati di accesso?Recupera i tuoi dati

Crea il tuo account

2 SHARES

Sacro convegno di Assisi

15/10/2002 9395 lettori
6 minuti
Due anni dopo la morte di San Francesco comincia il lavoro di costruzione della chiesa in Assisi: corre l’anno 1228. Quello fondato da San Francesco è un ordine di fedeltà al Santo Padre che predica la povertà e la semplicità contro la ricchezza e la “decorazione”: decorazione intesa qui come l’ornamento che tende ad alimentare la complessità nel vivere e quindi la complessità nelle arti sia visive che acustiche. La costruzione della basilica di S. Francesco è infatti un esempio storico di grande innovazione nell’arte. In un momento storico in cui sembrava predominare lo spigoloso puntare verso l’alto delle strutture architettoniche di ispirazione gotica ecco arrivare leggero e possente il Sacro convento. A proposito di “spigoli” mi spiego meglio: del gotico il Vasari non ci nasconde il suo parere: <>, e il Panofsky così lo spiega: <>, e ancora criticamente il Vasari: <>. Il gotico, che nel nord durerà fino al Settecento, in Italia non avrà lo stesso sviluppo: <> non raggiungerà mai nel nostro paese la complessità degli sviluppi entropici vistisi oltralpe; solo nell’Italia settentrionale si vedranno sviluppi architettonici di questo tipo(il duomo di Milano). La Basilica di San Francesco sembra essere almeno concettualmente molto distante, stilisticamente parlando, dall’epoca storica in cui si colloca; << La prima metà del Duecento, che la vide sorgere, è l’età delle grandi cattedrali gotiche e dei castelli federiciani in cui conosce le sue prime affermazioni monumentali, architettoniche e urbanistiche, l’arte medioevale di costruire le città>>; in realtà è proprio grazie alla Basilica del Santo se è oggi possibile ammirare le fondamenta del Rinascimento gettate dall’espressivo Cimabue e dal fantastico ma realistico Giotto, dei cui punti di vista introdotti si sono arricchiti e ci hanno arricchito gli artisti del Rinascimento cui ancor oggi l’arte tutta guarda con attenzione. Nella Basilica di San Francesco sembra prevalere <>. Sembra qui prevalere la realtà della vita in tutte le sue contraddizioni: quella chiara tendenza alla semplicità che contraddistingue i sistemi divenuti ormai troppo complessi (come quello dell’ultimo gotico fioritissimo) e che facilmente si ritrova nelle leggi regolanti madre Natura, la si potrebbe veder confermata e contraddetta dal secondo principio di termodinamica che, contrariamente a quanto appena detto, afferma che il mondo materiale procede da stati ordinati verso un disordine crescente. Storicamente, la Basilica di San Francesco si colloca lungo questa scia, rompendo col Gotico e iniziando un’idea-seme di Rinascimento quando con Giotto si intuirà la prospettiva (intesa qui come raggiungimento di una profondità pittorica) sicuramente più intuita e sentita che non studiata scientificamente come invece accadrà più tardi guarda caso tra Toscana e Lazio. Era stato gettato un seme in un terreno che grazie al Santo divenne fertile. Nella pianta della basilica di San Francesco si può notare quanto apparentemente irregolare possano sembrare le relazioni tra le parti che la compongono: non sono né addizionabili come nel Romanico, né moltiplicabili come nel Gotico o meglio sono tutte e due; per pensarne si può ricorrere alla musica. Quando a John Cage, a proposito di una partitura musicale, gli fu chiesto se si trattasse di una relazione fissa tra le parti, questi rispose: <>. Così nel luogo sacro al Santo una relazione fissa tra le parti non c’è ed è per questo che si può parlare di forze contrastanti: la stessa navata unica che racchiude in sé le due chiese una sopra l’altra, con evidenti stili architettonici diversi, ne è la conferma. L’esteriore affermazione di chiesa architettonicamente fortificata e militareggiante la pone in una posizione mentale di fortilizio della fede in cui la psicologica posizione di chi ne respira il “carattere” non riceve scossoni tra un interno mistico ed un esterno cavalleresco, anzi sono proprio questi elementi di apparente dissonanza a chiarire e rafforzare l’idea di fede che Francesco con i suoi valori sacrificali ha tramandato. Si potrebbe paragonare la pianta di una chiesa gotica ad una ruota di una bicicletta con i suoi sottilissimi raggi-archi rampanti che sorreggono tutta la struttura-bicicletta: sia nel caso della bicicletta che in quello dell’architettura l’equilibrio è dato dalla distribuzione bilanciata del peso: <<è questo fattore a rendere possibile l’impiego di una quantità molto minore di materiale senza compromettere la saldezza dell’insieme>> e a dare la possibilità di concentrarsi esteticamente sul raggio-petalo “gonfiandolo” piuttosto che sulla forza che lo fa girare. In seguito il Brunelleschi tornerà al classico, in un certo senso, fondando il Rinascimento, soffermandosi su ciò che fa girare la ruota, su “ciò che mette in moto”. Ma, per passare da un punto di vista che si sofferma sul raggio ad uno che pensa invece al centro come si fa? Bisognerebbe pensare ad un’idea di centro quale elemento in cui convergono e si equilibrano le forze che formano l’insieme; se si pensasse ad un “centro delle cose” di tipo statico le forze che compongono tale insieme non avrebbero mai la necessità “storica” di destrutturarsi e ricomporsi secondo nuovi equilibri; si troverebbero in un ideale stato di quiete dal quale non avrebbero mai motivo di allontanarsi; cognitivamente questo assemblarsi delle cose si verifica solo in brevi periodi storici in cui si formano gli stili, o meglio germogliano. Per questo motivo bisognerebbe forse intendere la nozione di centro come “elemento equilibratore di forze” piuttosto che riferirsi alla sua “posizione”; per questo nella costruzione della Basilica parlo di una relazione equilibratissima delle parti ma non di una relazione fissa tra di esse. Finora s’è detto dell’architettura ma ne è un chiaro esempio anche la pittura giottesca: a differenza della pittura bizantina(da cui viene) e di quella rinascimentale (verso cui procede) i soggetti pittorici non sono “il centro dello spazio pittorico” né si trovano in posizioni predominanti nei confronti del fruitore. Così, nella Cappella degli Scrovegni, la rappresentazione del Cristo di Giotto non ha nulla di monumentale ed è alleggerito di quella connotazione tipicamente bizantina che voleva che l’importanza del soggetto fosse equiparata alla sua grandezza fisica sulla superficie pittorica: comincia qui, con Giotto, la necessità di esprimere il significato delle cose secondo un nuovo ordine di lettura che non utilizzasse per la costruzione di una grammatica visiva di tipo religioso, solamente le differenze di “grandezza” delle parti componenti l’opera, ma anche la loro capacità espressiva (già cominciata-esplorata in Cimabue). Nella Cappella, Cristo è centro chiaramente “mobile” della scena e l’equilibrarsi della sua figura con quelle adiacenti è data dal compenetrarsi dell’una con l’altra (un po’ come avviene concettualmente nella basilica) secondo un ordine sempre stabile ma dato dall’”obliquità” nella collocazione degli oggetti pittorici e non più o non ancora dalla centralità. Così in Giotto non è Cristo il motore, perchè nel divenire uomo si è dovuto far carico del ruolo di ingranaggio che l’umanità stessa da sempre porta con sé, ma è sicuramente leva dell’azione pittorica e fulcro del pensiero religioso cristiano. B- SU GIOTTO Riguardo poi l’evoluzione della rappresentazione spaziale degli oggetti in pittura si potrebbe provare a fare un parallelismo con degli studi riportati da Arnheim sullo sviluppo infantile del disegno degli oggetti: <>: si potrebbe fare un parallelo tra questa fase piuttosto primitiva del disegno di un bambino e la rappresentazione pittorica bizantina la quale raffigura gli oggetti solo frontalmente proprio come in questo stadio fa il bambino. <>: questo secondo stadio, passaggio da una rappresentazione piatta ad una totalmente tridimensionale, ma ne più l’una ne ancora l’altra, mi sembra equiparabile a Giotto e al suo periodo; ancora Arnheim: <>… …in questo senso e solo in questo senso si potrebbe pensare la funzione che Giotto ebbe in seno alla ristrutturazione del pensiero pittorico-visivo-artistico e di lì in poi sull’arte nei secoli. C- SUL RESTAURO Il 26 e il 27 settembre 1997 il terremoto danneggiò gravemente la costruzione francescana e causò la perdita di quattro vite umane. I danni causati non sono stati però irreparabili così che la cittadina stessa ha potuto aiutare nel recupero dei frammenti dei dipinti caduti immediatamente dopo la fine del sisma; la fase di recupero delle parti crollate è durata 4 mesi; quella di selezione dei frammenti da restaurare e ricollocare sei mesi. I danni: <>. Nel restauro è stato adottato un sistema di lavoro tale da <>. Questa soluzione data da Cesare Brandi, docente di teoria e storia del restauro e iniziatore di questo processo, si basa sul principio secondo il quale <>; inoltre, la cosa migliore da fare era, secondo Brandi, di <>: quanto più si riesce a far indietreggiare la lacuna a favore della figura, migliore sarà la fruibilità dell’insieme. L’informatica ha poi aiutato a risolvere altri problemi. Il lavoro senza la materia, o meglio il virtuale (operato sul San Matteo di Cimabue) offre la possibilità di lavorare sui frammenti senza toccarli e in qualche modo consumarli ma ridisponendoli solo secondo la bidimensionalità di un immagine fotografica precedentemente scattata al frammento in questione; questo ha reso molto più agile e responsabile il lavoro degli addetti al restauro. Inoltre i computer su cui lavoravano i ri-costruttori di questo “superpuzzle”, una volta collegati in rete, hanno potuto operare sulla stessa parte dell’insieme contemporaneamente. L’unico problema che non si è saputo risolvere è stata proprio la simulazione della materia. Il fatto di non poter maneggiare i frammenti per vedere con più facilità se combaciavano o meno non è stato risolto se non in “bidimensionale”: questo non ha reso possibile una precisione metodologica che sarebbe stata d’aiuto qualora si fosse riusciti ad avere un’analisi tridimensionale dell’oggetto, una sorta di scansione-tac computerizzata che avrebbero reso più facile la sistematizzazione dei frammenti. D’altra parte, <>. C’è anche da dire che il lavoro in digitale proprio perché evita l’interazione fisica con i cassetti e i frammenti elimina i problemi di perdita di efficienza dovuto all’interazione fisica con cassetti e frammenti stessi e ancor di più quando è più d’una la persona che lavora con lo stesso frammento. Si ribadisce comunque che, l’operatore impegnato in questo lavoro rimane sempre responsabile del processo sviluppato, e anzi è arricchito culturalmente dall’utilizzo di nuove tecnologie le quali ne migliorano l’efficacia e l’efficienza durante l’attività lavorativa.